fotografie di Emanuele Riccio e Luigi Cozzolino

CONCRETO & ACCIDENTALE

a cura di Monica Trigona 


Concreto e accidentale nelle opere di Emanuele Riccio e Luigi Cozzolino

Monica Trigona

<<...l’espressione il “linguaggio dell’arte” è qualcosa di più che una vuota metafora, cioè che anche per descrivere il mondo visibile è necessario un elaborato sistema di schemi (...). Dalla fine dell’ Ottocento in poi è apparso sempre più chiaro che l’arte primitiva e quella infantile usano un linguaggio simbolico anziché di “segni naturali”. Per spiegare questo fatto si è supposto che debba esistere un tipo speciale d’arte fondato sul non vedere, ma piuttosto sul sapere: un’arte che opera per “immagini concettuali”>>.

È il 1959 quando Ernst H. Gombrich scrive di quest’ idea nelle pagine del suo “Art and Illusion: A study in the Psychology of Pictorial Representation”. In realtà ammette successivamente che non c’è distinzione tra le immagini naturalistiche e quelle create da un bambino, in quanto entrambe sono originate dalla mente umana che, a seconda delle sue caratteristiche, reagisce in modo diverso agli input esterni.

È pur vero che senza nessuno “schema iniziale”, frutto dell’osservazione del mondo circostante, risulterebbe piuttosto improbabile fissare il flusso dell’esperienza. Risulta difficile trovare un punto di partenza, delle categorie prefissate, per dirla con Gombrich, su cui si vanno a fissare le visionarie “fotografie-light boxes” di Emanuele Riccio e Luigi Cozzolino.

Eppure non appena ci si imbatte in queste composizioni, chissà perchè, il rimando, la connessione, il ricordo di qualcosa è palpabile.

Tutti da bambini forse abbiamo fissato per ore intere le nuvole dei cieli primaverili, spesso solleticate dal vento o, al contrario, immobili come degli isolotti in mezzo al mare.

La visione di quegli ammassi di particelle di acqua diventava motivo di creazione artistica per le menti infantili, così curiose e affamate di sapere. 

Mucche, cani, cavalli, case ma anche alberi, tutto pareva trovarsi in cielo sotto mentite spoglie.

Così l’osservatore delle nostre fotografie potrebbe imbattersi nello stesso procedimento creativo, non privo di rimandi a certe pratiche condotte da smaliziati spettatori dinanzi a capolavori di Jackson Pollock, Willem de Kooning o Franz Kline. Certo, questi esercizi ben si sposano con la materia prima fornita su un piatto d’argento dall’ Action Painting, corrente avvezza all’uso di ideogrammi, simboli, ammassi pittorici e quant’altro.

C’è tuttavia da notare come la componente casuale nei nostri abbia acquisito, durante il procedere artistico, peculiari morfologie e profili. 

Sebbene la percezione immediata di queste abili composizioni possa essere fuorviante (infatti più li si osserva da vicino, più si viene colpiti dalla raffinatezza delle variazioni cromatiche), essa rispecchia quasi sempre un’attitudine, un orientamento, preso dalla materia stessa e assecondato da Riccio e Cozzolino.

Le nubi di vapore sono diventate volti, figure, scheletri, presenze simpatiche e inquietanti, ma pur sempre tutte epifanie misteriose, nate per caso e concretizzatesi in visioni dall’indubbio fascino.

Citando Irving Sandler potremmo dire di trovarci dinnanzi ad “un’espansiva trama di forze” sospese nel vuoto. La componente gestuale non è espressa tramite l’uso del pennello ma attraverso dei soffi che mutano l’aspetto del gas colato in appositi contenitori. Gli spostamenti della massa 

CONCRETO & ACCIDENTALE

disegnano pieni e vuoti, forme e confini che si traducono in combinazioni accidentali.

Dopo i primi esperimenti, Riccio e Cozzolino, presi come da una foga creativa che passa attraverso strumenti tutt’altro che usuali, come le cannucce, colgono i privilegi e la duttilità della materia prima adoperata.

Il gas si sposta a seconda di dove vuole l’artista ma sempre in modo non totalmente controllabile. I risultati compositivi hanno quindi la doppia fascinazione della casualità e della concretezza formale, a sua volta stimolata e guidata accettando i limiti del mezzo.

Sviluppano così una poetica personalissima, direi, a metà strada tra suggestione proiettiva e ottica espressionista.

Alcune delle immagini ottenute vengono immortalate dall’obbiettivo e impresse su materiale plastico retroilluminato. L’opera finale diventa uno scenario tridimensionale che acquista inevitabilmente una vitalità e un movimento che altrimenti sarebbe difficile restituire.

Attraverso la contemplazione di questilight boxes lo spettatore si sente coinvolto nel processo creativo avvenuto qualche istante prima e reso eterno dal mezzo fotografico. Gli scatti stampati in maniera tradizionale, a contrario di questi lavori, appaiono interpretazioni più certe e meno aperte a letture disparate.

Il linguaggio veicolante l’immagine ha assunto in questa sede un valore predominante fino ad ispirarsi in maniera evidente alla pittura. Soggetti visionari filtrati da uno “sguardo impressionista”, evaporano su sfondi neri ribadendo quanto la fotografia sia una pratica creativa, giammai una mera registrazione. In entrambe le opere, teche e stampe, questi assemblaggi di gas giocano con l’alternanza di due colori, principalmente: il rosso e il bianco.

Il rosso, simbolo del cuore e dell’amore, del dinamismo e della vitalità, si intreccia con il bianco, simbolo dell’innocenza e del pudore. 

Il dato concreto, la vita evocata dalla tonalità vermiglia si scontra con quello accidentale, evocato dalla tonalità lattea, che richiama la sincerità e la purezza della creazione.

In un’opera soltanto appare il blu, il colore del cielo, del mare, dell’infinito, non a caso amatissimo da un artista come Yves Klein che con esso aspirava ad unificare il cielo e la terra e a dissolvere il piano dell’orizzonte.

La comunicazione in atto con lo spettatore, attivo più che mai nel gioco dei rimandi e delle suggestioni, potrebbe far parlare di una sorta di arte relazionale dove i ruoli si confondono e si capovolgono continuamente. Riccio e Cozzolino d’altronde sono interessati più a rendere un’idea per mezzo dell’immagine che a visualizzare un’immagine fine a se stessa.

In questa pratica non si può prescindere dal notare uno stretto legame con il Simbolismo e con Gustave Moreau in particolare che usava ripetere più volte i temi delle sue opere, spesso in maniera quasi ossessiva, talvolta apportando variazioni più o meno significative.

Alla loro prima mostra personale i due artisti, che arrivano dall’uso della fotografia e che, proprio per questo, hanno piena padronanza del mezzo, appaiono sicuri nel delineare la propria poetica. Sebbene infatti da anni si occupino di arte in maniera trasversale, solo oggi hanno maturato risultati così convincenti e peculiari da far gridare alla nascita di nuovi talenti nel panorama satollo e variegato dell’arte contemporanea.

Ai giorni nostri, tempi in cui tutto è stato visto, definito e classificato, non è cosa comune confrontarsi con chi ha ancora qualcosa da dire, da cantare fuori dal coro, e non sulla scia di qualche fortunato predecessore.